Tutto ciò che è raccontato

La morte di un bambino è una notizia?

Sta facendo parlare la foto del bambino siriano annegato sulle costa della Turchia. E mi chiedo dove stia la notizia.

Secondo l’Unicef, nel 2012 sono morti 6,6 milioni di bambini sotto i 5 anni, per cause che, testuali parole, “si sarebbero potute prevenire“.

Lo ripeto, che forse non hai capito: sei milioni e mezzo di bambini in un anno.
Fanno 18.000 al giorno.
Se morissero in modo costante, significa che nel 2012 sono morti 750 bambini ogni ora.

12 al minuto.

In pratica, il tempo che finisci di leggere questo post sono morti 20 bambini.
Di fame, di stenti, di malattie infettive, di diarrea, di qualche mina o proiettile vagante, di quel cazzo che vuoi, ma sono morti.

Quindi, la morte di un bambino è una notizia?
Ovviamente no, se non lo sono nemmeno 6 milioni e mezzo, che manco la follia nazista è stata così precisa e devastante. Se così fosse, dal 2012 ad oggi dovrebbero esserci editoriali tutti i giorni sui principali quotidiani, perché prima di smaltire una notizia da 6 zeri, ce ne vuole.

Invece la notizia migliore se la rimpallano diversi editoriali online – e magari anche off, ma non lo so, non li leggo – che argomentano sull’imprescindibile questione: è lecito o no pubblicare quella foto?

Questioni vitali, ne convengo. Nel frattempo Google, questo sconosciuto, rende abbastanza irrilevante la questione, se con una semplice ricerca te ne vedi due dozzine di quelle foto, in tutte le angolazioni possibili.

Quindi, un bambino annegato è una notizia? No.
La notizia è che stavolta c’è la foto.
Nemmeno quella volta in cui sono affogate circa 900 persone, sul solito barcone della morte, la notizia è stata così rimpallata. Perché tanto nessuno si mette a contare fino a 900. Io a cento, al massimo, mi sono già rotto le palle.
Cos’è 900? Un numero? Un film lungo e palloso? Un personaggio di Baricco?

numeri900 è un’astrazione. 6,6 milioni, è un’astrazione ancor più grande. Uno invece no. Soprattutto se quell’uno riesci a vederlo bene. E cosa meglio di una foto?

Ora rilassati: questo non è il solito discorsetto sull’ipocrisia di piangere per un bambino e dimenticarsi di tutti gli altri. O darsi la colpa collettiva di quanto siamo stronzi, brutti e cattivi, così si fa tana libera tutti, e non è in colpa nessuno.

Non è ipocrisia: siamo fatti così.
Ci stupiamo, gioiamo, ci addoloriamo, ma solo per ciò che riusciamo a vedere, sentire, toccare, odorare, percepire. Ciò che non vediamo, non c’è. Il mondo al di fuori della nostra percezione esiste, ma se non lo percepiamo, di fatto non esiste.

Detto in altri termini, non vediamo più in là del nostro naso.

E’ buono, è giusto, è immorale, è sbagliato? Ma che ne so.
So che i numeri non sono mai la discriminante. In un mondo dove i numeri hanno importanza, 2.000 morti uccisi da Boko Haram fanno più notizia dei 12 di Charlie Hebdo.
Ma dove sono i numeri?
Non hanno volto, né nome, né storia. Sono numeri, e a noi dei numeri, tutto sommato, non ci frega un cazzo. A meno che non siano sopra un conto da pagare.

Perciò, ben venga chi esce dal conteggio e ci narra delle storie. Perché solo entrando nella vita di qualcuno possiamo viverla davvero.

Come fa Emergency, che a forza di narrare storie di persone che lottano e vincono sull’Ebola, storie di eroismi quotidiani, al confine con le guerre e la follia, si sono guadagnati, e la parola usata non è a caso, la mia stima e il mio 8×1000, almeno per quest’anno.

Ecco perché quei giornalisti che fanno lo scoop emozionale, spesso con notizie inventate o abbellite per qualche copia o spazio banner in più, sono spazzatura.
Non riciclabile, per giunta.

Ciò che ha un volto, un’intenzione e delle azioni esiste. Che sia buono, brutto, vero o falso.
Se ha una storia esiste.
Se una cosa è raccontata e compresa, esiste nella percezione e quindi, anche nella realtà al di fuori. Cambia solo quanti la raccontano e quanti la comprendono. E vale per la verità, così come per la menzogna.
Tutto ciò che è raccontato esiste.

Occorre stare bene attenti a cosa raccontare, e come.

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