L’ultima profezia (storielle sulla fine del mondo)

Mirvin entrò di fretta nell’Arboratorio.

Di fretta come può esserlo il passo di un arborale, pensò. Quanto avrebbe voluto le abilità dei Superni.

Studiava da un secolo e mezzo le poche vestigia degli Superni arrivate fino a loro.

Rovine talmente corrose dagli agenti atmosferici e dagli eoni da essere più degli ammassi di detriti che dei resti intelligibili di una civiltà del passato; pezzi di file rovinati, estratti da server ormai consunti, che richiedevano un enorme lavoro di decodifica e restauro per essere resi comprensibili.

Alla fine del suo lavoro, di immense quantità di gigabyte restavano solo spezzoni audio e video, stralci di testi in lingue scritte in caratteri differenti e in linguaggi che spesso non avevano nulla a che vedere con le altre.

Ci capiva poco, pochissimo.

Ma una cosa era chiara. I Superni erano una civiltà superiore. Avevano una tecnologia talmente avanzata da sembrare quasi magia.

Avevano processi di pensiero così elaborati da risultargli alieni.

Creavano dal nulla manufatti di ogni genere, per scopi talmente incredibili che la ragione vacillava solo a pensarci.

Erano in grado di comunicare con una quantità di loro simili impossibile per un arborale.

Si spostavano a velocità inaudite per distanze inconcepibili. Dagli ultimi documenti studiati, sospettava che avessero perfino raggiunto le profondità marine e, ma questo non riusciva ancora a comunicarlo ad alcuno, conquistato lo spazio siderale.

Guardò gli assistenti al lavoro sugli elaboratori, macchine preistoriche rispetto a quelle che dovevano avere i Superni.

Uno sconforto indicibile gli gravò sulla corteccia. Quanto avrebbe voluto uno di loro, lì, a guidarlo. Dov’erano finiti? Perché erano svaniti nel nulla, in un tempo così lontano che nemmeno l’immaginazione riusciva a raggiungerlo?

I colleghi dell’Accademia si rifiutavano di avvalorare le sue ipotesi.

In fondo li capiva.

Non esisteva alcuna traccia dei Superni in tutta la storia degli Arborali, nemmeno nella preistoria remota, da quando erano ancora solo piante non senzienti, incapaci di muoversi e maneggiare utensili.

Quando aveva detto agli scienziati suoi pari che i Superni erano, con tutta probabilità, mammiferi, era stato a lungo schernito e dileggiato. Qualcuno l’aveva anche minacciato.

Era quasi blasfemo pensare che dei semidei, perché questo erano i Superni, fossero della stessa razza di quegli insulsi roditori che infestavano i deserti o di quegli ottusi ovini che brucavano anche sulle rocce, pur di racimolare qualche brandello di cibo.

No.

Per il mondo accademico i Superni erano solo ombre. E lui lo sciocco che le inseguiva.

Tossì per annunciare la sua presenza. Gli assistenti si voltarono e lo salutarono. Grimmeldon gli venne incontro. Aveva un’aria euforica, che il volto fogliforme riusciva a malapena a celare.

“Cosa c’è? disse Mirvin “Perché mi avete fatto venire qui di corsa?”

“Eccellenza, abbiamo una traccia dal passato.”

“Che anno?”

“Duemiladiciotto.”

Duemiladiciotto.

Nessuno di loro riusciva a capire a quanto indietro nel tempo corrispondessero gli anni dei Superni. Il duemiladiciotto poteva essere stato ieri, come tre milioni di cicli fa.

Quello che sapeva era che, fra il duemila e il duemilasessanta, era accaduto qualcosa. I Superni entro quella data erano quasi scomparsi. E poi, intorno al duemila e cento, non ve n’era più traccia alcuna. Svaniti nel nulla. Come non fossero mai esistiti.

Le uniche prove della loro esistenza, del loro passaggio, del loro immane potere sulla Terra, erano quelle misere vestigia che lui recuperava e che l’intero mondo accademico rifiutava di riconoscere.

Mirvin credeva, con un furore quasi religioso, che in quella conoscenza potesse esserci la chiave per la salvezza. Perché forse, se i Superni erano stati davvero così potenti, potevano salvarli dalla tempesta solare che si sarebbe abbattuta sulla Terra, bruciandola fino al nucleo, entro il settimo ciclo dell’anno.

Più il tempo passava, e più era chiara l’evidenza dei fatti. Loro, gli Arborali, le creature più evolute del pianeta Terra, erano impotenti. Incapaci di trovare una vera soluzione. La furia del Sole li avrebbe distrutti.

Perciò i Superni dovevano essere esistiti. E con loro, la salvezza.

“In quell’anno, stava dicendo Grimmeldon, pare ci sia stata una profezia.”

Mirvin corrugò la corteccia. Non era riuscito a evitare, fra i suoi sottoposti, il diffondersi dell’idea che i Superni fossero maghi o stregoni dal potere immenso. Certo, erano scienziati dalla conoscenza così assoluta da renderli simili, se non forse superiori, alle divinità stesse. In fondo, che differenza c’era poi?

“Cosa diceva la profezia?”

E calcò volutamente il tono sull’ultima parola.

“Il frammento che abbiamo estratto dice, pressapoco così: Abbiamo dodici anni per invertire la rotta. Poi il clima impazzirà.”

Restò in silenzio. Anche Mirvin non proferì parola.

Dunque, l’avevano trovato. Il punto zero.

L’anno del cambiamento. Sarebbe stato il 2030. In quell’anno era iniziato tutto.

“Abbiamo idea di cosa sia successo nel 2030?”

“Eccellenza, pare un aumento della temperatura di quattro gradi, secondo il conteggio dei Superni. E poi, nel tempo, è aumentato sempre di più.”

Mirvin rimase sprofondato in cupi pensieri. Com’era possibile un cambio climatico così repentino? Che la Terra ancestrale fosse così differente da quella odierna?

E se fosse stato provocato? Chi poteva avere le conoscenze per cambiare il clima in così poco tempo? I Superni? Mirvin scosse il capo, incapace anche solo di considerare quella eventualità. Gli esseri più intelligenti del creato, che distruggono il loro stesso mondo? Assurdo. Più ridicolo del pensiero che una scimmia potesse essere più intelligente di una patata.

Quattro gradi in più.

A quelle temperature, il clima era inospitale per gran parte dei mammiferi terrestri.

Inclusi i Superni, se aveva ben capito la loro fisiologia.

Il suo assistente doveva essere giunto alle stesse conclusioni.

“Eccellenza, dunque i Superni… il suo era appena un sussurro… si sono estinti?”

Mirvin trattenne a stento la rabbia.

“Sei una pianta assai sveglia. Ti pare possibile che una razza che ha dominato la materia, i venti, che ha piegato l’atomo, possa essersi estinta a causa di un cambiamento climatico, per quanto apocalittico?”

No. La ragione era un’altra. E solo ora, dopo averla evitata a lungo, l’aveva capito. E capiva perché non aveva mai parlato di quel fatto prima d’ora con nessuno.

“Sono andati”. disse “Fra le stelle.”

Grimmeldon lo guardò come se fosse pazzo.

“Non ve l’ho mai detto, ammise Mirvin, I Superni ne erano capaci. Andarono sul Pianeta Rosso. E chissà quanto oltre siano stati capaci di arrivare.”

Capì che non fosse facile assimilare quell’informazione.

“Ma perché non hanno cambiato il clima Eccellenza? Perché non hanno invertito la rotta?”

Una vocina, insistente e malefica, si insinuò per dirgli che, forse, non ne erano capaci. Non ne erano mai stati capaci. Che forse l’avevano provocato loro.

La ricacciò nel fondo della sua legnosità.

“Forse non avevano interesse. Forse le stelle erano più invitanti. Non sappiamo nemmeno se la Terra fosse il loro vero mondo. Forse sono solo tornati a casa.”

Sì, era andata così. Doveva essere andata così.

“Da qualche parte, in qualche brandello di conoscenza, c’è il segreto che cerchiamo. Grimmeldon. Il segreto per la salvezza della specie.”

Grimmeldon annuì con convinzione.

“Lo troveremo, Eccellenza.”

Mirvin sospirò. Se solo avesse avuto più tempo.

Guardò in alto, oltre la cupola ramificata del laboratorio.

Pregò che qualcuno, lassù dalle stelle, li vedesse.

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