L’orso è un problema di comprensione

È la seconda volta che scrivo di orsi sul blog.
Per due motivi: abito in Trentino e il problema dell’orso è davvero un bel problema.

L'orso è puccioso?
L’orso è puccioso?

A dispetto di quello che ci aspetterebbe, cioè che le persone facessero fronte comune per trovare una soluzione al problema (un orso che sbuca fuori dal bosco e ti manda all’ospedale, secondo me è un problema), si crea uno strano fenomeno.
Nascono le tifoserie, con scene che manco durante Roma-Lazio ti sogneresti di vedere.
Trovare una soluzione al problema non significa automaticamente – come gli amanti degli animali senza se e senza ma ritengono – eliminare l’orso.
E allora, qual è la soluzione?
Nessuno lo sa, perché non si inizia nemmeno a cercarla. C’è un grande spiegamento di energie per fare a gara a chi urla le proprie ragioni più forte. E queste ragioni, chi le comprende? Ecco il punto, secondo me.
Non le comprende nessuno. Né da una parte, né dall’altra.

Il problema dell’orso, per quanto grave, è secondario. Il primo problema è la mancanza di comprensione.
Purtroppo non posso sperare di comprendere, per esempio, quelli della LAV, che fin troppo spesso dimostrano una sensibilità verso i propri simili molto inferiore a quella che hanno verso gli animali. Non li comprendo proprio. Non è che non li comprendo perché sono brutto e cattivo. Loro attaccano e si difendono. E siccome hanno una posizione differente dalla mia nella vita, non posso sperare di comprenderli, finché non vengono a spiegarmela.
Perciò farò l’unica cosa che posso fare: parlerò di quello che l’orso significa per me.

Quand’ero piccolo l’orso era una creatura mitica. Avevi quasi voglia di incontrarlo.
Mio padre mi raccontava un sacco di storie con l’orso, tutte inventate, e questo bellissimo animale ha fatto per anni parte del mio immaginario di bambino.
Ce n’erano pochi, vederli era quasi impossibile e se ne stavano per bene alla larga dall’uomo. L’orso ha paura dell’uomo. L’orso non attacca.
Dopo 150 anni, cioè almeno 3 generazioni, questa tiritera alle persone è entrata in testa. L’idea che l’orso non fosse un pericolo, che non attaccasse mai e che non ce ne dovessimo occupare, era più che radicata. È pure normale che fosse così.

Un bel giorno, in questo sistema chiuso e controllato, arriva più di un orso. Oggi siamo circa a quota 50, anche se fare una stima precisa è impossibile. Cinquanta orsi in pochi anni.
Le persone continuano a vivere come niente fosse, perché nessuno ha detto loro nulla. Certo, si sa che c’è l’orso, ma chi di dovere non si è preso la briga di informare seriamente la popolazione di cosa avrebbe significato passare da quattro orsi a cinquanta in pochi anni. Forse non lo sanno neanche loro.

E così, scopriamo che c’è l’orso nella maniera peggiore: quando ce lo troviamo davanti. La maggior parte delle conoscenze che avevamo si rivelano false, o comunque ormai così datate da non essere reali.
L’orso non attacca? Falso. Possiamo vivere senza occuparcene? Falso.

L’orso ti arriva addosso nel peggiore dei modi: con zanne e artigli.
È stato provocato, non è stato provocato? Tutto questo ha poca importanza. L’aggressione di tre orsi in un anno, contro i centocinquanta di tranquillità, sono più che abbastanza per giustificare un forte senso di disorientamento.

Quel sistema chiuso, protetto e controllato, anziché aprirsi con i suoi tempi, viene forzato e spezzato con violenza. Va in frantumi come il vetro e mi lascia scoperto.
Che succede quando la mia realtà viene cambiata dall’esterno, senza preavviso? Quando erompe l’ignoto e quando questo ignoto è potenzialmente mortale?
Disorientamento, è il minimo. E poi paura. Tanta paura.

E la paura, se non viene compresa, se non viene accolta, se non c’è un altro essere umano che ti dice: «Hai paura? Cacchio, ti capisco. Sai, ho paura anch’io», se questo non accade, la paura si trasforma. Si trasforma in rabbia.

Rabbia contro l’orso. Rabbia contro chi difende l’orso. Rabbia contro chi pontifica che bisogna imparare a convivere con l’orso e che è tutta una questione di consapevolezza. Rabbia contro chi ti fa la facile morale del: “non siamo più capaci di convivere con la natura“. Che in fondo ti sta dicendo, in modo sornione e ipocrita, che non ne sei capace tu, perché se glielo vai a chiedere lui è capacissimo. Rabbia contro chi rimarca l’ovvio, perché è ovvio che non siamo capaci di convivere con l’orso. Cazzo, è proprio quello che ti sto dicendo! Rabbia contro chi non capisce il mio diritto sacrosanto ad avere paura, quando il mio sistema di riferimento, il mondo nel quale vivo, salta. Rabbia contro chi non capisce che, prima di pontificare, prima di giudicare, prima ancora di prendere provvedimenti emotivi, o che fanno bene all’elettorato, prima di qualsiasi altra cosa, ci vuole la comprensione di ciò che sta accadendo.
Rabbia contro l’incomprensione.

Secondo me sta qui il problema dell’orso. La comprensione è la prima attività umana.
Si inizia sempre così, io che comprendo te e tu che comprendi me. E dopo, solo dopo, possiamo fare qualche cosa insieme. Possiamo decidere di tenerci l’orso, di imparare a conviverci, possiamo anche andare a catturarlo o ucciderlo, oppure invitarlo a casa a prendere un thé. Non lo so. Non è importante.

È importante questo: prima viene l’individuo, poi vengono i problemi. I problemi esistono nella misura in cui li percepiamo come tali. E possiamo risolverli, solo se prima comprendiamo che per qualcuno esistono davvero.

Finché l’espressione di quello che pensiamo e sentiamo passa attraverso un maldestro gioco delle parti, finché la rabbia rimarrà inascoltata, sull’orso, come su tante altre cose, ci saranno sempre le fazioni.
Batto i piedi e mi incazzo, perché nessuno mi ascolta e mi capisce. E li batto insieme a quelli che provano le stesse cose che provo io. Poi ci do un nome, a questo insieme di idee, mi ci identifico e vado pure fiero di battere i piedi insieme agli altri lattanti oversize.
Ma in realtà sto dicendo che sono separato da chi non mi comprende. E che questa lontananza mi fa male.

Troppi voli pindarici? Forse. Ma credo, in fondo, che senza la comprensione si scatenino solo sentimenti negativi. Rabbia, paura, scoramento, sfiducia, e tutto quello che volete attaccarci, ci divoreranno. Oggi li chiamiamo “orso”.

Domani sarà altro.

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