L’infanzia nella crescita della persona

Anni fa iniziai a fare una serie di studi e a seguire dei veri e propri percorsi, con lo scopo di migliorare la qualità della mia vita, un grande insieme di conoscenze e contributi che va sotto il nome di crescita della persona.

Da solo non ero in grado, anzi, avevo fatto solo disastri. Perciò mi serviva una mano, qualcuno che mi desse gli strumenti per riuscire a indirizzarmi sulla strada corretta.

Trovai una persona in particolare (e poi molte altre) e cominciai a imparare qualcosa di nuovo su di me, gli altri, la vita in generale. Iniziai a capire gli sbagli di un’intera esistenza e iniziai a correggerli, a farne meno, a farne di nuovi e a infilare delle scelte in controtendenza col passato.

Insomma, cambiai la mia vita, a poco a poco, in qualcosa che mi piaceva più di quella precedente.

Uno dei cambiamenti più evidenti fu nelle relazioni.
Scoprii, insieme ai miei compagni di viaggio, un modo più interessante, rispetto al precedente, di stare assieme. Un modo per interagire con più abilità di prima, con la possibilità di esprimersi liberamente, senza ferirsi, senza dare o ricevere giudizi.

Un modo in cui io potevo essere pienamente me stesso, l’altro poteva essere pienamente se stesso e insieme potevamo creare un’amicizia profonda, senza maschere, senza nascondersi, senza giudizi di alcun genere, senza la paura o il rischio di essere feriti.

Poi mi sono svegliato.

Non era così.
Non era la realtà che vivevo. Era la realtà che vedevo in lontananza. Un po’ come vedere il trailer di un film, senza sapere se e quando uscirà nelle sale.
Gli aspetti che ho detto sopra c’erano, ma non l’idillio che ho descritto. Avevamo allargato il canale della verità e quello era un dato di fatto. Ognuno interagiva in modo più vero, più spontaneo, più aperto.

Ma ferite ne circolavano comunque. Delusione anche. Giudizi pure. E c’era anche un’altra cosa: quando ti apri tanto con qualcuno, se vieni ferito fa più male.

Ecco perché spesso le persone non si aprono e raccontano di sé quello che puoi benissimo vedere già da solo. Perché se si aprono, forse vengono ferite. E allora meglio rimanere chiusi e non prendersi mazzate troppo dure in faccia. Così va una gran parte di mondo.

A me non è mai piaciuta come visione delle cose. Ma le difficoltà erano innegabili.
Come mai? Chi aveva ragione?
L’uomo è davvero homini lupus, o c’era qualcosa che mi era sfuggito?

La verità è che aprirsi alla verità di sé è abbastanza facile.
Aprirsi a quella dell’altro, senza volerla dominare, calpestare, cambiare, giudicare, o anche solo interpretare, è molto più difficile.

Servivano più abilità, più abilità di relazione, più abilità nel collaborare, condividere, nel volere la vittoria dell’altro. E non solo: ancora più importanti, le abilità di comprendere, di accogliere davvero, di non ferire e di stare di fronte alle ferite, senza ritirarsi dalla relazione. Ma ancora non le avevamo. Questo non lo potevo immaginare. Non ne avevo idea. Eravamo in cammino, mica eravamo arrivati.
Ero come un sedicenne che ha il mondo nelle sue mani, che pensa di avere sempre ragione e di aver capito tutto dalla vita.
Era l’infanzia, tutt’al più l’adolescenza, della mia crescita come persona.

Il lungo cammino della conoscenza di sé prevede anche quello della conoscenza dell’altro. Prevede abilità di relazione complesse, che non sono automatiche se non per qualche fortunello (ma ne ho visti pochi, molto pochi). Quando apri tanto il canale della verità di te e dell’altro, i problemi si moltiplicano e senza abilità, fai disastri.

Avevo trovato il dettaglio sfuggito: l’uomo non è cane mangia cane. È carenza, ignoranza endemica di abilità di relazione. Talmente endemica, talmente diffusa, che la realtà attuale è un prodotto di una tale carenza. Non siamo sbagliati o cattivi.
Solo ignoranti e incapaci.

Non ho mai smesso di guardare quel trailer e lasciarmi affascinare, sognando come poteva essere quel film. Quell’insieme di relazioni così intense, pure e coinvolgenti, così vere, che avevo intravisto durante i percorsi di studio intrapresi.

Però il film non arrivava. Nessuno sembrava volerlo mandare davvero nelle sale. Un po’ come il film del Signore degli Anelli. Per anni sono circolate voci, ma mai niente di fatto.
Ci ho sofferto, ma alla fine l’ho capito: quel film non l’avrei mai visto.

Avrei dovuto realizzarlo.

4 Risposte a “L’infanzia nella crescita della persona”

  1. Complimenti mi è piaciuto. È il tipo di esplorazione di cui la crescita ha bisogno e che mancava. Un approccio squisitamente autobiografico e reale senza pretese d’insegnare. Uno spaccato in cui tutte le persone di buona volontà possono riconoscersi. Bravo Matteo, avanti così.

  2. Mi piace l’umiltà che riesco a percepire tramite il tuo scrivere con parole semplici .

I commenti sono chiusi.

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