Ulissippo e la missione dell’ultimo dell’a(n)no

Questo è un fuori programma. Un piccolo omaggio pensato per i pochi, ma affezionati lettori, che seguono il mio blog e le mie cazzate, spesso prive di senso.
La cosa più bella, per chi crea qualcosa, è che la sua creazione viva al di fuori di sé. Che diventi qualcosa che non è più solo sua, ma che appartenga a tutti coloro che desiderano farla propria.
Così è per Ulissippo, tornato su queste pagine perché alcuni di voi lo hanno voluto. E lo hanno fatto continuare a vivere, al di là del suo creatore.
Grazie a tutti e buon anno.

La fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo a casa Ulissippo si festeggiava con la visione reiterata di squallidi film dell’orrore. Non ho mai capito perché. Di quei film che se li vedi a 16 anni ti rovinano per sempre l’adolescenza e gettano ombre scure anche sulla tua esistenza futura da adulto.
Era quasi mezzanotte, e un ridicolo bambino aveva fatto amicizia con una renna volante e parlante. Io aspettavo con pazienza la scena in cui il bambino, sgozzata la bestia, l’avrebbe servita, stufata, ad amici e conoscenti. Non arrivò mai. Il cretinetto rinunciò al lauto pasto per restituire l’assurdo animale a un ridicolo pancione rosso vestito. Il Natale era salvo, gli animalisti contenti. Io andai a vomitare.

Al ritorno Ulissippo osservava la custodia del Dvd con aria critica.
«Ma che ci trovi in quella merda?» chiesi «Da bambino non ti hanno vessato abbastanza con quelle visioni?»
Lui mi guardò con aria ispirata.
«Cercavo qualcosa di pari livello con la Pasqua» rispose «Non l’ho ancora trovata.»
«Che cazzo c’entra la Pasqua adesso?»
L’aver fatto quella domanda, ed essere caduto nella probabile spirale di discorsi senza senso di Ulissippo mi fece incazzare. Avevamo un compito quel giorno. Non si poteva perdere tempo.
«La Pasqua è il più grande film horror di tutti i tempi!» disse lui con enfasi «Tempeste di sangue, spiriti di vendetta, morti ammazzati, uragani, divinità antiche che incendiano roveti, e poi corone di spine, gambe spezzate, gente inchiodata a una croce e il tocco finale: dopo 3 giorni, l’apocalisse zombi! Magnifico!»
Divenni paonazzo.
«Cristo santo!» urlai «Ma stai parlando della resurrezione!»
Lui ormai era nel suo mondo. Doveva essersi guardato troppo il culo di recente.
«Anche Sodoma e Gomorra non scherzano, ma quello è già più un apocalittico…»
Mi alzai, lo afferrai per le spalle e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. Il che mi provocava l’urticaria, ma pazienza.
«Senti, c’è un limite alle puttanate che possiamo dire! Siamo in diretta tv» e feci ciao con la manina al cameran che ci riprendeva 24 ore su 24 «Vedi? Quello è Jimmy, che ci manda in onda via satellite tutto il fottuto giorno. Niente blasfemie sulla religione. O almeno…non troppe. Ok?»
«Blasfemie?» Ulissippo sembrava davvero stupito «Ho solo detto che Iddio è il regista più fottutamente geniale della storia…ma va bene, come non detto. Comunque quello non si chiama Jimmy.»
E mi indicò il cameraman a sua volta. Il fatto che un mio sottoposto (che poi non lo era davvero, ma mi piaceva crederlo) venisse nominato due volte nella stessa giornata mi dava un po’ fastidio. Dovetti comunque ammettere che sulla targhetta di riconoscimento (che io avevo chiesto indossassero, per imparare i loro nomi), c’era scritto un bel: Adriano.
Feci spallucce.
«Ma che mi frega? Rifiutarsi di imparare i nomi dei subalterni è una delle prerogative di un capo. »
Ulissippo restò un istante in silenzio e poi cominciò a ridere sguaiatamente.
«Quando sei sobrio sei davvero spassoso.» disse, fra una risata e l’altra.
Pensare che potessi essere sobrio la notte del 31 dicembre mi offese parecchio. Non mi aspettavo un colpo così basso. Tentai comunque di dissimulare il tutto col silenzio.
«Il controllo è un’illusione. Il possesso è un’illusione.» continuò lui.
Basta! Mi ero rotto. Il mio angoletto di potere era inviolabile.
«Si può sapere che cazzo stai dicendo?»
Ecco, ero un pirla. Ero caduto nella trappola. Avevamo un compito da eseguire, un sacro mandato che chiunque abbia una telecamera puntata al culo non può esimersi dall’eseguire. Tuttavia ormai stavo nella rete di cazzate di Ulissippo.
Lui fece quella faccia seria che di solito faceva dopo aver fumato il crack e mi puntò addosso l’indice.
«Tu controlli quello che entra» disse, indicandomi la bocca «Ma non quello che esce. Il prodotto finale non è a tua discrezione.»
«Ma che cazzo c’entra adesso la merda con…»
Mi interruppi all’istante. Inutile. Era comunque troppo tardi. Ulissippo aveva due occhi bovini che non gli avevo visto mai.
Non c’era delusione in quello sguardo. Non c’era nemmeno disapprovazione. O disprezzo.
Ecco, davvero, lo avrei preferito. Avrei preferito tutto, fuorché quello sguardo.
Era lo stesso di Giangi, il mio rospetto domestico, il giorno che lo schiacciai, per sbaglio. Quel giorno rimase solo un francobollo grigio, appiccicato alle piastrelle del poggiolo. E su quel pezzetto di carne morta, due occhietti spenti che parevano finestre spalancate su un abisso infinito di dolore.
Come hai potuto farmi questo?, dicevano. Dopo tutto questo tempo passato assieme…
Scusa Giangi.
Dopo tutto questo tempo, ancora non hai compreso. Il culo e la vita… il modo in cui butti fuori la merda dal tuo culo è il modo in cui reagisci a ciò che hai scelto di fare entrare…
«Scusa» ero in lacrime.
Lui non disse nulla di tutto questo, ma sentivo che era così. E con le repliche di quella scena, nei giorni a venire fottemmo lo share a tutti i programmi in prima serata, compreso Amici. Fanculo!
«Hai una canna?» chiese Ulissippo.
Gliela passai. Aveva lo sguardo di sempre. Ammiravo la sua capacità di ripresa.
«Il controllo non esiste» proseguì lui, come se nulla fosse successo «E il prodotto della tua creatività non è più tuo. Devi donarlo. Condividerlo.»
Il trinomio merda-creatività-dono è difficile da concepire, ma forse non avevo abbastanza fumo in circolo.
«Chi vuoi che voglia la mia merda?» dissi.
Essere in grado di fare obiezioni sensate mi faceva sperare che saremmo riusciti nel nostro intento. Si trattava di trovare l’occasione giusta.
«Io la dono a Ernesto» rispose lui, secco «Il mio cactus da compagnia. Vedessi come cresce…»
Stava per partire con un trip. Era il momento di fermarlo.
«Amico» dissi «Abbiamo un compito importante. Qualcosa che i tuoi amici si aspettano tu faccia.»
Lui annuì con convinzione e cacciò un rutto che pareva di stare nella galleria del vento.
«Non intendevo questo. Almeno non adesso. È finito l’anno. Che ne dici di un buon augurio per tutti quelli che ci seguono? In fondo, se noi siamo qui è perché ci sono loro. Perché ci seguono. Perché ci vogliono bene.»
La retorica del “io non sarei nulla senza di voi” – e incidentalmente guadagno miliardi perché vi menate le seghe davanti alla Tv anziché scoparvi vostra moglie (ma questo ovviamente lo si omette per pudore) – tira sempre un casino. Pur tuttavia è vera. Guarda che accade alle divinità quando la gente smette di pregarle.
Ulissippo versò lo spumante nei bicchieri. Alzammo i calici.
«Che il 2014 vi porti tanto culo» disse.
«La maggior parte del pubblico è etero.» dissi «Dovresti trovare qualcos’altro.»
«Ma io non intendevo…vabbè, allora…Prendetevi cura del vostro culo!»
Scossi il capo.
«Non so, troppo salutista credo.»
«Che il culo sia con voi?»
«Non abbiamo soldi per pagare i diritti a Lucas.»
«Anche sulle citazioni? Maddai!»
Era un argomento spinoso. I dirigenti del network mi avevano fatto un culo tanto, per restare in tema, a causa della mia mania di citare Star Wars.
«Fidati, è un vampiro quello. »
Ulissippo si fece pensieroso. Quali abissi di insondabile saggezza avrebbe tirato fuori?
Infine, spalancò gli occhi, fissò la telecamera e disse:
«Bè, mi sono rotto il cazzo. Andate a farvi fottere!»
E brindammo.

E buon 2014 a tutti!

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