Le nuove avventure di Fair Ardagh – capitolo 3

Prosegue dal capitolo 2

La villa era una solida abitazione in mattoni gialli, molto spartana per essere la dimora di un Lord. Il portone era di quercia nera, senza tanti fronzoli.

Qualche colpo di batacchio e venne ad aprire un uomo in livrea, con lo stemma della famiglia Torsen appuntato sul petto. Si inchinò quasi fino a terra.
“Sua eccellenza vi attende, messer Ardagh. Vogliate seguirmi.”
L’elfo ebbe l’impulso di sfoderare Maklaad e di tranciare la testa a quell’omuncolo, poi si rese conto che anche se era vestito meglio di lui, quell’uomo non lo stava sfottendo.
Era davvero messer Ardagh fra quelle quattro mura? Fair ne dubitava.
Comunque, represse l’istinto omicida e seguì l’ometto nell’atrio della grande casa. Il paggio bussò a una porta laterale, lo annunciò con quel messer Ardagh che suonava così strano, e lo introdusse in un ampio salone, con un pavimento in legno scuro e pesanti tende alle finestre.
Fair entrò, e la porta si chiuse alle sue spalle.
Un odore di chiuso e di antico aleggiava ovunque e una luce soffusa si spandeva, quasi con timore, dall’unica lampada che pendeva dal soffitto.
Un vecchio grinzoso e stanco sedeva come un sacco mezzo vuoto dietro a un’imponente scrivania di mogano. Accanto a lui, in piedi, stava un giovane altezzoso con un sorriso sdegnoso, vestito di una tunica sgargiante e una camicia svolazzante dai colori vistosi e incoerenti. In fondo alla parete si innalzava un’enorme libreria, con decine di tomi impilati uno in fila all’altro. L’odore della cellulosa e della polvere colpiva quasi come una massa fisica, da tanto che era tangibile.
Fair si sentì soffocare.
Il vecchio grugnì qualcosa, quasi con stizza, all’orecchio del giovanotto.
“Vieni avanti, messer Ardagh.” – ordinò quello, con una vocina stridula e saccente che l’elfo sentì subito di odiare dal profondo.
Si avvicinò, evitando di dissimulare la propria stizza. Non pensò nemmeno per un istante di perdere del tempo a inchinarsi.
“Ho sentito tanto parlare di te, messer Ardagh.”
Messere. Quella parola cominciava a stargli stretta, soprattutto se pronunciata col disprezzo che quell’uomo gli manifestava apertamente.
“Ah sì? E che si dice?” – lo sfidò.
Il nobilotto ridacchiò.
“Inaffidabile, alcolizzato, ladro, puttaniere, giocatore d’azzardo e baro. Questo è quello che ho sentito in giro.”
Fair si permise un sorrisino conciliante, come davanti a un bambino capriccioso.
“Mi hanno detto ben di peggio. – disse – E naturalmente, è tutto vero.”
Il vecchio scoppiò allora in una risata asmatica che rischiò di soffocarlo. Il giovane non mosse un dito. Lord Torsen si riprese in fretta e parlottò qualcosa all’orecchio dello sbruffone.
Quello strinse i pugni e arricciò le sopracciglia. Aprì la bocca due volte, prima di decidersi a parlare.
“Mio zio, il venerabile Lord Torsen, ha una missione da affidarti, elfo.”
Finalmente! Tutto il disprezzo di quel montato ora fluiva senza la barriera del conformismo e dell’etichetta. A Fair venne un’insopprimibile voglia di fargli del male. Certo, usare un manufatto come Maklaad per sbudellarlo era quasi un sacrilegio, ma prenderlo a calci gli avrebbe garantito ugualmente delle belle soddisfazioni.
“Si tratta di scortare un carico prezioso fino all’isola di Nihiir. – disse il giovane, ignaro delle intenzioni di Fair nei suoi confronti.
L’elfo inarcò un sopracciglio.
“Isola?”

CONTINUA….