Le mie declinazioni dell’orrore

La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto. Howard P. Lovecraft, Supernatural Horror in Literature, 1927

Il massacro di Charlie Hebdo è stato un tuffo nell’orrore. Ci ho messo un’ora a decidere se fosse vero o no. Leggevo le notizie in arrivo su vari quotidiani e pensavo: è una bufala. Grondava troppo sangue per essere una bufala, ma la fede nel cattivo gusto dei Social Network mi ha tenuto fermo in questa convinzione. Poi un giornale, poi due, poi tre. Poi tutti. Non è la prima volta che quotidiani anche famosi cadono come i peri in notizie assurde. Anche la Stampa? Repubblica? Internazionale? E tutti insieme? Alla fine mi sono arreso: non era una notizia assurda. Era mostruosa.
Lo era così tanto che per un po’ sono rimasto indifferente. Ok, è vera. E allora? A me che interessa? Qualcuno ha ucciso qualcun altro. Dov’è la novità?
Il cinismo era troppo persino per uno come me, che fa professione di cinismo da una vita. Che stava succedendo? Non l’ho capito subito, ci ho messo un altro paio d’ore.
Ero fermo ad aspettare la corriera per tornare a casa. A un tratto ho pensato a quelle persone. Cosa avevano provato? Cosa si prova a un passo da una morte rapida e violenta? Hai tempo di chiederti perché? Hai tempo di capire che la risposta non l’avrai mai, che tutto finisce e tu non sai dare risposte, né a te, né a nessun altro? E chi rimane, cosa prova? Cosa provano una moglie o un figlio che tornano a casa e si sentono dire che il marito o il padre, che di lavoro fa fumetti, è stato ucciso da un kalashnikov? Dodici famiglie colpite dal dolore, più gli amici, i colleghi, la città intera, e via via a salire, in un cerchio di condivisione che ha il suo limite dove noi scegliamo di metterlo.

Tutto questo, lo hanno fatto due sole persone con un mitra?

Allora ho compreso. Non era cinismo. Era orrore. E volevo tenerlo lontano.

 

Ognuno ha le sue declinazioni dell’orrore.
La mia è che se avessero colpito una caserma, o la casa di un politico xenofobo, mi avrebbe fatto meno paura. Se avessero messo una bomba, magari fatta in casa, che c’è sempre la possibilità che non esploda, che non faccia danni, che scoppi di notte, sarei rimasto meno colpito. Anche se fosse stato più lontano, sia in termini geografici, che culturali, o in uno di quei paesi che finiscono per -istan in cui, tutto sommato, queste cose te le aspetti, mi avrebbe impressionato meno.

Invece la freddezza di andare a piedi, in pieno centro e pieno giorno in una capitale europea, di attaccare persone che la cosa più grossa con cui possono difendersi è la suite di Adobe, di ammazzare a sangue freddo, uno per uno, questo mi ha notevolmente disturbato. Però queste sono le cose che impressionano me. Magari voi ne avete altre.

Una mia amica, proprio stamattina, mi diceva che “ci sono dei valori universali anche nelle religioni“. Si parlava di punti in comune per evitare di scannarsi fra cristiani, musulmani, ebrei e quant’altro. Non intendo approfondire.
Direi che ci sono delle certezze universali, che se vengono infrante scatenano il delirio.
Il massacro di Parigi mi ha aperto, in un solo colpo, il vaso di Pandora, con le tre peggiori paure che mi possano capitare: ignoto, incertezza, ingiustizia. Ad una posso fare fronte, a due magari, ma tutte e tre assieme? È troppo. Quando la paura è troppa, quando colpisce nel profondo dell’animo umano, quello che si scatena è l’orrore. Lo sapeva bene Howard P. Lovecraft, l’autore della citazione in testa al post, che infatti scriveva storie dell’orrore.

L’orrore, dice la Treccani online, è un’ impressione negativa e violenta provocata da ciò che appare così crudele da ripugnare alla vista e alla morale.
L’orrore è un evento sopraffacente. È qualcosa di così incomprensibile, inaccettabile, così altro da me, che non ho alternative: devo rifiutarlo. È qualcosa che va allontanato, che non mi riguarda. Posso negarlo o fuggirlo: non esiste, non è vero, non mi interessa. Posso combatterlo, combattendo chi me l’ha fatto provare. In entrambi i casi sarò sprofondato nell’orrore. Sarò alla sua mercé.

Quando la paura non è comunicata, non è manifesta, non è conosciuta nella sua interezza nel mio animo, allora diventa qualcosa che non si riesce più a gestire. Il meccanismo è semplice: ciò che conosco è mio, ciò che non conosco, lo butto al di fuori.
E se non posso fare mio l’orrore, cioè conoscerlo? Allora qualsiasi cosa andrà bene: rabbia, violenza, intolleranza, chiusura, distacco, freddezza, menefreghismo, insensibilità. Tutto ciò che mi allontana dal sentire davvero quel dolore, quella paura. La paura delle tre “I”, ignoto, incertezza, ingiustizia. I cavalieri dell’Apocalisse dell’umanità.

Mi siedo in corriera. Dopo di me salgono due ragazzi nordafricani, algerini, tunisini, marocchini. Chi lo sa. Di quelle zone lì, insomma. Salgono con quella loro aria perennemente strafottente e mi viene un brivido. E penso, che cosa vogliono questi qua? Perché non se ne stanno a casa loro? Poi penso che anche loro, forse, sono in ansia perché avere una faccia da arabo in questi giorni non dev’essere il massimo, un po’ come non lo era l’11 settembre.
E allora capisco che l’orrore mi ha colpito, e non me ne sono mica accorto.

Un fiume sotterraneo che nessuno sa che esiste, finché non esonda con la prima piena.

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