Cercasi Paolo disperatamente

Prima parte

Paolo non è tornato.
Lo abbiamo aspettato all’arrivo, ma non è mai arrivato. Che sia rimasto lassù, sulle montagne? Su quelle montagne che lo hanno visto nascere, crescere, vivere e gioire? E che un giorno, un giorno forse non troppo lontano, lo vedranno anche morire?
Paolo non è tornato. E quando qualcuno non torna dalla montagna i casi sono due: o ha scelto di dedicarsi alla vita agreste, o è scivolato in crepaccio. Ed è morto.

Eppure, nessuno di noi riesce a credere che sia così. E anche se Paolo è quasi certamente precipitato da una rupe, noi, noi che lo aspettiamo a valle, noi che lo aspettiamo ancora, vogliamo credere che sia ancora là. Fra le montagne, a mungere le capre, a inseguire le marmotte, a cercare i marmuccelli, a rubare Iphone in alta quota, per vantarsi con gli amici di aver fottuto un Samsung Galaxy S5 a 3.000 metri di quota. E avrebbe anche ragione: se ti porti un Samsung Galaxy S5 a 3.000 metri, è giusto e sacrosanto che tu venga derubato. E che cazzo!

Quando sono salito sulla via della montagna, Paolo non era con noi. Quando siamo scesi, Paolo non era con noi. Paolo non è mai stato con noi, tranne in alta quota.
Ho conosciuto Paolo grazie a Giovanni. Giovanni ha conosciuto Paolo grazie a me. Paolo non ha mai conosciuto nessuno dei due. E io non conoscevo Giovanni, prima di conoscere Paolo.
Ti sei perso? Pure io. Passo indietro.

Sabato, 20 luglio 2013.
Io e l’amico mio partiamo per il Latemar. La scaletta è la seguente:

  • Venerdì sera mando sms: sono da te alle 8.00.
  • Sabato alle 7.25 mando sms: arrivo fra le 8 e le 8 e mezza. 
  • Alle 8.30 mando sms: arrivo fra una decina di minuti.
  • Alle 9.00 mando sms: arrivo, prima o poi.
  • Partiamo alle 10.00.

In perfetto orario sulla tabella di marcia: basta ampliare il margine di errore di un paio di orette. D’altronde, quando vado in montagna uso la massima di Gandalf. Uno stregone non è mai in ritardo, né in anticipo: arriva esattamente quando cazzo vuole.
Alle 12.30, esattamente come preventivato dalla tabella di marcia con margine di errore debitamente aumentato di un’altra mezz’ora, partiamo, zaino in spalla, dal paese di Forno e ci inoltriamo nella Val Sorda. Direzione: Bivacco Sief, 2.300 metri di quota e qualche cosa.
Appena in marcia ci sorpassa una comitiva di ragazzi, età media sui vent’anni. Ci salutiamo. Io comincio a nutrire la mia paranoia. Non è che vanno dove andiamo noi?
[Breve parentesi (infatti l’ho pure messa nella quadra): io vado in montagna per farmi i cazzi miei. Meno umani ho attorno e più sono contento. A meno che gli umani non li scelga io. Nel qual caso, eccezionalmente, assumono il ruolo di amici.]
«Noi andiamo al Bivacco Latemar.» mi dice uno di loro.
Tiro un sospiro di sollievo.
«Noi al Sief.» rispondo io.
«È lo stesso bivacco.» mi risponde quello.
Con prontezza sorprendente, il respiro di sollievo mi muore in gola,  e si trasforma in un malato terminale in fase agonizzante.
Rispolvero in velocità le informazioni sul foglietto che ho stampato da un sito internet che parlava di bivacchi. Il nostro tiene 10 posti.
«Quanti siete?» chiedo, ostentando disinvoltura.
«Nove.» mi risponde quello.
Il cervello lancia un messaggio forte e chiaro: danger!
Loro sono 9, noi due. Qualcuno dormirà per terra questa notte. Oppure morirà prima di stasera.
Faccio presente la questione al mio interlocutore, evidentemente il leader del gruppo.
«Non c’è problema.» mi risponde lui, con la tranquillità di un 20enne a cui non frega un cazzo di niente delle tue preoccupazione da semi adulto quasi responsabile «C’è il soppalco. Ce ne stanno molti di più.»
Il timido sospiro di sollievo che si sta affacciando alle porte della consapevolezza viene afferrato dalla paranoia e sgozzato senza un briciolo di umanità.
Cioè, io dovrei fidarmi di te, giovane sbarbatello che ho appena incontrato per la via?
Subito mi si prospetta lo scenario di sangue, in cui, forchetta e calzini puzzolenti alla mano, difendo il mio diritto al posto letto. Qualcuno rantola nel buio implorando pietà, ma io non cederò il mio posto.
Io non dormirò per terra questa notte.
Il mio cervello decide di evitare il massacro (anche per un senso di opportunismo, occorre ammetterlo: siamo due contro nove) e manda un altro segnale. Nitido, diretto, inequivocabile.

DEVI ARRIVARE PRIMO.

Decido di seguirlo.
Io e l’amico mio ci fiondiamo su come le schegge, superando di buona lena i Nove, come dei novelli Frodo e Sam che sfuggono ai crudeli Nazgul. Portatori dell’anello e di sventura, i Nove tengono botta per un bel pezzo, ma si arrendono e cedono il passo. Li superiamo. E andiamo avanti e avanti e avanti.
Con un obiettivo in mente, che il cervello ormai scandisce al ritmo di un pezzo dei Pantera, 150 battute al minuto di doppia cassa non stop:
DEVI ARRIVARE PRIMO. DEVI ARRIVARE PRIMO. DEVI ARRIVARE PRIMO.

Tuttavia, la gita non verrà sprecata.
La Val Sorda è quanto di più bello esista nell’universo. Non ho visto l’universo, ma ho visto la Val Sorda e tanto basta.
Un bosco che sembra nato apposta per essere abitato da fate e folletti. Con anfratti, muschi e licheni, sassi verdeggianti e fiori. Fiori ovunque. Quando il bosco si apre, dopo due orette di cammino, i fiori ci segnano la via, ci seguono, ci precedono. Di mille colori, sempre diversi, violetto, arancio, giallo.
E noi andiamo e andiamo. Spediti, senza fermarci se non un paio di volte, a controllare il tragitto. E a vedere che lungo la via non ci sia nessuno. A parte una famigliola di tedeschi, ma quelli non ci fanno paura. Sono solo tre. La guerra dei letti non la vinceranno mai.
Quando il bosco si apre, la montagna si chiude. La Val Sorda si chiude intorno a noi, con le montagne così vicine che sembra di toccarle. Una sensazione di soffocante bellezza ci avvolge. Vicine e colossali, le montagne si chiudono su di noi. E inizia la salita. Quella vera.
Una salita quasi in parete, fusa fra i sassi e le guglie scolpite delle dolomiti, appesa alla montagna come gli abeti che crescono sugli spuntoni di roccia.
Siamo meno baldanzosi, l’amico mio ed io, ma andiamo su comunque. Con il fiato corto, e il sistema respiratorio che comincia a mandare dei segnali di stop al cervello: sei nella zona a rischio. Ma noi andiamo avanti, caparbi, ce ne fottiamo dei segnali che il cervello manda alle altre parti del corpo. È solo elettricità, un flusso di elettroni che può essere cambiato. Con l’intenzione di arrivare, con la volontà. E così, l’intenzione vola alta, oltre le cime, oltre gli alberi nodosi, vola insieme al vento oltre la cresta che dobbiamo valicare e giunge fino al bivacco. Solo l’intenzione però. Il corpo resta ancora qui.
E ci dimostra, dati alla mano, che Nietzsche aveva ragione: la mente è un giocattolo del corpo. Puoi andare avanti due, cinque, dieci, cento passi. Ma alla fine, se il tuo corpo dice: coglione, fermati che hai sete, non c’è storia. Ti fermi e bevi. E con la scusa che ti sei fermato per ammirare il panorama, prendi anche un po’ di fiato. Perché in fondo, il controllo è un’illusione. La volontà è illusione.
Quando il corpo chiama e impartisce i suoi ordini severi, capisci finalmente chi è al timone della barca.

E non sei tu.

– FINE PRIMA PARTE –

 

4 Risposte a “Cercasi Paolo disperatamente”

  1. Ahahaha! Avevi le orecchie a punta nel video mentale che mi sono fatta leggendoti, sarà per colpa delle tue citazioni sul Signore degli anelli XD
    Mi piace un sacco quest’ avventura, so che è stata una vera avventura quindi è ancora più interessante! Posta la seconda parte, dai dai dai dai! 😀

  2. La devo ancora scrivere. Questa è venuta giù di getto. Per la seconda bisognerà attendere ancora un pochetto…

  3. Ho conosciuto Paolo grazie a Giovanni. Giovanni ha conosciuto Paolo grazie a me. Paolo non ha mai conosciuto nessuno dei due. E io non conoscevo Giovanni, prima di conoscere Paolo.
    Ti sei perso? Pure io.

    Sì, lo ammetto! Anch’io mi sono persa, qui. Anzi per un attimo mi è parso di trovarmi di fronte a un sillogismo aristotelico. Hai presente? Se un certo A è così e un tale B invece è colà, come sarà un talaltro C? Insomma, sono stata chiara o ti sei perso? Se ti sei perso, non fa niente; anch’io credo di non aver sintetizzato il sillogismo aristotelico nel migliore dei modi. A parte gli scherzi… questa parte è veramente divertente. I riferimenti – in salsa semiseria – al Signore degli Anelli mi hanno fatto piegare dal ridere. Come andrà a finire questa “promettente” camminata in mezzo alla natura, in cui bisogna arrivare assolutamente primi per non sfiguare innanzi a degl’imberbi ragazzetti? Sono curiosa di scoprirlo.

  4. Grazie di essere passata di qui. Il blog era un po’orfano dei tuoi commenti, che ho sempre apprezzato. Buon proseguimento sulla via della montagna.

I commenti sono chiusi.

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