Ulissippo e la libertà del buco del culo – quarta parte

C’è un troppo per ogni cosa.
E quando superi la soglia, quando passi al di là del consentito, entri in una realtà dove tutto ha un significato differente. Dove ogni cosa non è più la stessa e forse neanche tu sei più quello di prima.
Avevo preso così tante legnate che ormai non sentivo nulla. Il corpo era rigido come un palo e io ascoltavo solo il rumore dei miei pensieri.
Gianfranco mi teneva incollato al muro dei cessi e io sognavo paperelle vestite da koala.
«Ne hai prese abbastanza?» disse lui.
Io balbettai qualcosa che poteva essere interpretato in varie maniere ma che, ve lo devo dire, era solo il tentativo di non soffocare dal bolo di sangue e saliva che avevo in gola. Gianfranco invece ci lesse quello che voleva sentire.
«Bene, sacco di merda. Allora lavati!» e mi indicò il rubinetto della doccia.
Strascicai parole senza senso, che voi ormai sapete cosa fossero, ma che lui interpretò come una resa. Curioso, no? La capacità umana di interpretare la realtà, anziché attenersi ai fatti, supera la mia comprensione.
Lui mi tirò su e mi sembrò di percepire quasi del timore o del rispetto. Ma forse era solo che gli facevo schifo. La cosa non mi stupiva.

Sedici giorni prima avevo detto no al bidet.
Dopo alcuni giorni il culo mi puzzava come una latrina, anche se mettevo quattro strati di vestiti fra il buco e il mondo esterno. Ad Hassan fece così schifo l’idea di deflorare un deretano sporco, che gli venne il vomito al solo guardarmi. Perciò smise di farlo. In compenso si incazzò, ruppe più di un culo (metaforicamente e non) e minacciò un casino che l’apocalisse al confronto sarebbe sembrata Disneyland. Nel frattempo, altri deretani entravano in sciopero, chi per protestare contro le pessime condizioni igieniche, chi contro gli abusi dei secondini, chi per avere brioche alla marmellata a colazione. Dopo dieci anni di crema ti passa la voglia di vivere.
Una settimana dopo aver lanciato lo sciopero del culo, qualcuno decise che bisognava andare oltre. Passammo anche allo sciopero del cesso: smettemmo di tirare l’acqua dopo aver cagato. In tempo zero, la prigione fu costretta a cambiare tre imprese di pulizie, perché nessuno aveva più il coraggio di entrare dentro ai cessi. Alla fine, il capo della rivolta fu trovato e portato al cospetto del direttore. Il resto lo sapete.
«No» dissi e quasi sputai in faccia a Gianfranco il famoso bolo.
Lui divenne paonazzo. In quel momento in cui tutta la sua rabbia e violenza stavano per franarmi addosso, compresi davvero quel coglione di Ulissippo. Ero andato oltre. Non avevo più paura.
«Sono libero.» dissi «Il mio culo è libero.»
Lui mi appoggiò il manganello sul naso, così che ne vedevo solo l’ombra. Sentivo quel coso freddo a contatto con la pelle.
«Vediamo se ci passa questo per tutta la sua lunghezza.» disse lui.
Era una battuta fiacca. E Gianfranco aveva un ghigno storto, tirato, che non gli avevo mai visto. Poi compresi: era timore. Allora feci una cosa che non avrei fatto in altre circostanze. Cominciai a ridere. Sembravo un pazzo. Ero scosso da fremiti e ridevo e piangevo, perché ogni risata mi faceva contrarre le costole incrinate dalle botte e Dio solo sa cos’altro.
«Dopo aver provato quello di Hassan, il tuo manganello mi sembrerà di ricotta!»
Ero quasi in estasi. Gianfranco non era portato per la fine conversazione o l’umorismo. Così mi piantò il manganello in pancia con tutta la sua forza. Tutta l’aria uscì dai polmoni e non solo.
Mi cagai in braghe e svenni.

– FINE QUARTA PARTE –

 

2 Risposte a “Ulissippo e la libertà del buco del culo – quarta parte”

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