Ulissippo e la libertà del buco del culo – parte prima

Il contenuto di questo racconto non coincide per forza con le opinioni dell’autore. O forse sì. Chi lo sa. È inoltre gratuitamente scurrile, offensivo e privo di significato. Io vi ho avvisati. Se vi sentite urtati sono cazzi vostri. Inoltre, per chi non conoscesse il personaggio di Ulissippo, consiglio di leggersi il racconto precedente, sennò poi non capite una mazza e venite a rompere i maroni. Grazie.

Una sera trovai Ulissippo accanto alla mia branda. Pensai che fosse strano, visto che era morto dieci anni prima, ma non strano quanto il fatto che fosse vestito come un damerino del ‘700.
«Ciao» disse.
«Ciao che?» risposi «Tu sei morto! E che cazzo ci fai con quel vestito da frocio?»
Lui mi guardò con quei dannati occhietti da rospo per un tempo che a me sembrò interminabile.
«I miti non muoiono mai» disse «In quanto al mio vestito, non metterei mai una merda del genere da sobrio. E siccome non sento puzza di alcol, ne deduco che questo sia un sogno.»
«Cazzo, dev’essere davvero un sogno, se parli come un fottuto intellettuale di merda!»
Lui sorrise.
«Vedo che non hai perso il tuo savour faire.»
Avete presente quando il personaggio di un cartone animato si congela dallo stupore? Ecco, uguale.
«Sa…che? Senti, ma che cazzo succede?»
«Che ne so, il sogno mica è mio. Chiedilo al tuo inconscio. A proposito, cosa ti sei fumato?»
Divenni rosso di rabbia. O verde, non l’ho mai capito. Comunque mi incazzai di brutto.
«Fumato un cazzo!» dissi «Sono in una fottuta prigione da dieci anni! E a causa tua!»
La mia accusa non sembrò toccarlo.
«E ti sei finalmente guardato il buco del culo?»
Ecco, Ulissippo aveva quell’abilità lì. Di smontare ogni cosa con una cazzata senza senso. All’epoca pensavo fosse un grande. Oggi penso sia un coglione. Il fatto che facesse l’idiota anche nel mio sogno però mi tranquillizzò. Strano.
«No» risposi «In compenso il mio culo è molto frequentato. Ma non si limitano a guardarci dentro.»
«Bene.» disse lui.
«Bene un cazzo! È senza il mio consenso!»
E fu lì che sparò la cazzata. Voglio dire, quella vera. Quella che ti domandi se è davvero un sogno, perché per essere un sogno era fin troppo realistico. Insomma, Ulissippo le diceva davvero quelle cose. Un sogno non doveva essere un po’ più… onirico? Certo, c’era il vestito da damerino, però…
«Tu sei libero. Solo che non lo sai.»
Rivedo ancora oggi in stop motion tutte le espressioni facciali che mi attraversarono il viso. Passai tutte le sfumature cromatiche, dal giallo, al verde, al nero. La leggenda vuole che divenni anche trasparente. È una balla. Lo dico per amore di verità.
Poi pian piano mi calmai. Pensai che forse, anche se era un sogno, magari qualcosa dell’insondabile saggezza di uno che si è guardato il buco del culo, poteva essermi trasmessa. E poi ero troppo stanco per litigare, anche se stavo dormendo.
Così mi limitai a un blando:
«Ma che cazzo dici? Non conosci Hassan e Gianfranco.»
«No, chi sono?»
«Il primo è il nero che me lo mette in culo, l’altro è il secondino.»
«E te lo mette nel culo pure lui» disse lui, con l’aria di chi la sapeva lunga.
Sospirai.
«Sì, ma in senso più figurato.»
«Non brucia il buco, ma l’orgoglio.» Ulissippo pareva davvero ispirato nel mio sogno «alcuni dicono faccia più male. Io, per fortuna, non l’ho mai provato.»
«Ah, no?»
Lui ridacchiò.
«Mai avuto orgoglio. E nemmeno tu, sennò mica lavoravi in televisione. Il problema del secondino è risolto. Oplà!»
Era la prima volta che facevo un sogno che decideva per me. La cosa non mi dispiacque: in fondo al risveglio tutto sarebbe tornato come prima. Non so davvero cosa fosse meglio.
«Rimane Hassan.» dissi.
Ulissippo cominciò a esplorare la sua cavità nasale con perizia da speleologo. Era la classica posa da pensatore che ha rifiutato i clichè della mano sotto il mento, tipica dei fottuti intellettuali dai greci in avanti. Una tradizione millenaria infranta solo con il dito indice.
«Rendigli la vita difficile.» disse infine.
« È alto due metri.» sospirai.
«Non intendevo questo. » rispose lui «Cosa gli piace di te? Rendi la cosa spiacevole.»
«Mi romperà il muso!» piagnucolai.
Lui mi guardò con disprezzo. Cioè, mi guardò con la solita aria da rospo, ma io ci lessi del disprezzo. Ulissippo aveva questa abilità: ti guardava sempre con la stessa espressione stolta da batrace, ma ognuno veniva toccato nel profondo e in maniera differente. Quel giorno mi fece vergognare.
«La libertà, ricordi?»
All’improvviso, ricordai.

Era metà maggio. O forse novembre. Stare sempre sotto acido mi faceva sembrare i mesi tutti uguali.
«Cos’è la libertà per te?» chiesi all’improvviso.
Stavamo seduti su una panchina a guardare le anatre che sguazzavano nel laghetto del parco cittadino. Chissà perché alla vista delle oche avevo associato quel quesito.
Ulissippo come al solito non rispose. Raccontò invece di una volta che era entrato nella sala d’aspetto della stazione dei treni, o dei pullman, e c’era questo tizio musulmano, arabo, o marocchino, non importa, comunque era scuro e recitava a voce alta e intonando una nenia ossessiva, qualche cosa nella sua lingua incomprensibile. Al che Ulissippo, arrivato al centro della stanza, si era fermato, aveva guardato intorno e aveva tirato una serie di scoregge che sembrava una locomotiva del Far West. Il marocchino o arabo, o afgano che fosse, si era alzato e con aria incazzata gli aveva detto:
«Du smetti. Du no rispetto.» (e qui il pubblico rideva sempre per l’imitazione di Ulissippo, che ricalcava il solito clichè razzista che, quando si è a corto di argomenti, andava sempre bene).
«E tu?» avevo chiesto io.
«E io gli dissi: amico, questa è una stazione dei treni, il luogo di incontro di persone di ogni età, sesso, razza o religione. Di fatto è il tempio del mondo moderno, l’ultimo luogo fisico dove la vastità del mondo si raccoglie. Tu preghi il tuo dio. Io prego il mio.»
«Mitico. E lui?»
Ulissippo scosse la testa.
«Mi sfasciò l’edizione economica del Corano sul naso.»
«Ti fece male?»
«Mille anni di cazzate sul setto nasale!» disse lui «Pensa te.»
«Con la Bibbia ti sarebbe andata peggio.» replicai.
E ridemmo.

Mi svegliai di soprassalto. Ulissippo era sparito. Rimaneva solo la mia branda, e le sbarre della mia prigione. E quel giorno, o quello dopo ancora, forse sarebbe venuto Hassan a farmi visita. Ulissippo era sparito e non sapevo se sarebbe più tornato.
Ma avevo compreso. Sapevo cosa fare.

– FINE PRIMA PARTE –

PS: dovrebbero essere 5 parti. O forse 4. Lo dico per chi dovesse chiedermi (e c’è sempre): ma quante sono?

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