Le cose semplici – tre

Betty era entrata e uscita così tante volte dalla sua vita che ormai lui aveva perso il conto.
Una, due, tre? Forse quattro, o addirittura cinque. Sicuramente molte di più.

TRE

E ogni volta che lei tornava, con quel suo faccino sorridente e indifeso e le sue tette da paura, Marco si sentiva come in paradiso.
E ogni volta che lei andava via senza rispondere alle sue chiamate o con un semplice sms lasciato come un bacio frettoloso sul cuscino, Marco si sentiva come se avesse camminato scalzo sopra cocci di bottiglia.
A volte i vetri lo prendevano di striscio, altre volte scavavano fino all’osso.
Facevano male comunque.
«Non è la qualità del dolore, ma la quantità che ti trasforma.» disse un giorno il Geberit.
Marco si stava radendo, svogliato come al solito, quando il Geberit, annunciato da una risata roca, si era fatto sentire.
«È la goccia che scava la pietra, non la cascata.»
Marco annuì controvoglia. Quando il Geberit si dava queste arie da santone zen gli stava proprio sul cazzo. Però dovette ammettere che aveva ragione.
Sciacquò il rasoio nel lavello e le sottili increspature d’acqua torbida gli ricordarono quelle del laghetto in fondo al parco.

Lei è seduta sul muretto e dipinge linee immaginarie con il dito immerso dentro la fontana.
Lei che lo ha appena scopato appassionatamente. Lei che ora lo sta lasciando.
«Ho un marito, non posso fargli questo.»
Marco annuisce.
«Certo, capisco.»
Ma in verità no che non capisce. Lei si è scopata per un anno un tipo e poi l’anno successivo un altro. Ed è sposata da tre anni.
«Forse è meglio se non ci sentiamo più.», azzarda allora lui.
Lei scuote il capo con fermezza.
«No, io non ti voglio perdere.»
E infatti non lo perde. Non lo lascia mai senza un bel po’ di sms erotici, degni della migliore trama di un film da psicopatici.
E quando lui s’incazza, lei ribatte:
«Credi che anch’io non stia soffrendo? Non ti interessa niente di me? Sono umana anch’io sai? Scusami tanto se sono umana!»

«E allora tu che fai?»
Marco si riscosse.
Lo specchio, l’acqua sporca del lavandino, la barba mezza rasata. E il Geberit che incalzava.
«Io le chiedo scusa», rispose lui, come un automa.
Vide il ghigno soddisfatto del Geberit.
«E non ti fa incazzare questa cosa?»
Il soffitto rimbombò. Un tonfo, un altro, una serie frettolosa che saturava l’aria di note gravi e roboanti.
«Abbastanza.»
I colpi diminuirono, sentì una porta sbattere. Qualcuno scese le scale in fretta, facendo un gran fracasso. Marco rimase coi muscoli contratti per altri trenta secondi dopo che il rumore fu svanito.
«Per quanto vuoi andare avanti?» chiese il Geberit «Fagliela pagare.»
«A chi?»
«Fagliela pagare.» ripetè il Geberit.
Sembrava un disco rotto.
«A chi devo farla pagare?»
«Che domande idiote sono?»
Marco sentì che il Geberit stava perdendo la pazienza. Non voleva che accadesse. Non era bello quando si incazzava.
In quella, i tonfi ritornarono, stavolta più forti di prima. Passi, passi pesanti sul soffitto.
Il suo corpo reagì prima ancora che la mente. Si serrò lo stomaco e si strinse in una morsa dolorosa e disperata. Ma allora non era uscito per andare al lavoro, quello stronzo del vicino?
Ok, non ce la faceva più. Non ce la faceva davvero più.
«Fagliela pagare.» la voce del Geberit era adesso un sussurro suadente.
Marco aprì il cassetto della scrivania. Strinse in mano il vecchio revolver di suo padre, un ferrovecchio da collezionismo ancora funzionante, e in quella si accorse di due cose: aveva smesso di radersi e non era più in bagno.
La schiuma, ancora appiccicata al viso, colò sui peli della barba e scivolò sul pavimento, emettendo un ploc ploc appena sussurrato.
Marco mise via l’arma e scappò al cesso. Tremava tutto. Un brivido lo ricoprì di gelo, come quando si trovava a vagare scalzo nella neve, e il suo vecchio lo rincorreva con un bastone nodoso in mano.
«Non temere,» sussurrò il Geberit «ricordi cosa ti dissi la prima volta? Ricordi il mio primo consiglio?»
«Lasciami in pace!» gridò Marco e si accasciò al bordo del lavandino, piangendo.
Voleva fuggire, mollare tutto e andarsene. Dimenticare tutto e andarsene.
Non poteva. Le ultime parole del Geberit continuavano a ronzargli in testa come uno sciame putrido di mosche.
Se le ricordava fin troppo bene.

 

5 Risposte a “Le cose semplici – tre”

  1. Mi sembra che la tua scrittura stia migliorando da un post all’altro e anche il personaggio si ispessisce. Aspetto la prossima puntata!

  2. Ho letto le tre parti, con un certo senso di nausea addosso… la voglia di continuare a leggere si mescola ad ad un “non so se voglio andare avanti” (o indietro?)… quando arriva la prossima puntata?!

  3. Ciao, grazie a entrambe di esservi fermate. La prossima e ultima puntata dopo la fine delle vacanze natalizie (per chi le fa).
    A presto!

  4. Che casino! Sembra quasi tu stia tirando fuori la parte più malata della tua testa… XD
    Sono d’accordo con Elisa, questi continui cambi di immagine creano confusione e aumentano la curiosità… La mia perlomeno di certo! Corro a leggere il quarto 😀

I commenti sono chiusi.

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