Le cose semplici – quattro

Marco teneva il pisello appena fuori dalle braghe e guardava la sua immagine scolorire e sbiadire nel vortice di piscio sul fondo del cesso.

QUATTRO

«E ora cosa vuoi fare?» disse una voce.
Marco si voltò di scatto e diverse gocce, quasi seguissero il suo pensiero, si spiaccicarono sulle piastrelle e sui pantaloni del pigiama.
«Che vuoi fare?» ripeté la voce. Era sottile e carica di un’intensità maligna che Marco sentì di detestare dal profondo.
Tuttavia alzò gli occhi verso lo specchio e si trovò faccia a faccia con un sorriso sprezzante e un viso in ombra che non aveva mai visto.
«Chi sei?» chiese.
Non aveva paura, ma era stupito. Stupito che lo specchio parlasse. Stupito che avesse un volto mai visto, eppure familiare.
«Chi sei?» ripeté.
«Licenziato senza spiegazioni. Il tuo capo ti ha fottuto. » disse la voce, senza rispondere davvero. «Non ti sei rotto?»
Marco scosse la testa, come se potesse liberarsi così dei pensieri sgraditi.
«Ma chi sei?»
«La tua donna è una troia.» continuò la voce «Anzi, non è mai stata tua.»
«Basta!» gridò Marco «Chi cazzo sei?»
Un botto, come se qualcuno saltasse sul soffitto, fece tremare i muri del bagno. Passi pesanti uniti a saltelli si rincorsero sulla sua testa per un’eternità di minuti. Sentì anche una risata. Marco strinse i pugni e soffocò un grido di rabbia.
«Fagliela pagare!» urlò la voce.
Marco si voltò di scatto e quasi cadde, abbracciando la tazza del cesso. Non voleva ascoltarlo. Si rialzò a stento, gli occhi fissi sulla cassetta dell’acqua. Non lo avrebbe ascoltato. Eppure si trovò a chiedere:
«A chi?»
La risata dietro di lui sembrò risuonare più nella sua testa che nell’aria.
«A chi? A chi?» disse l’immagine «Non importa chi, importa cosa. Tutti si sono presi qualcosa! Tuo padre, il tuo capo, la tua donna e quel coglione rompicazzo del vicino di casa! L’universo, la vita, ti deve qualcosa! Prenditi qualcosa tu adesso!»
«Chi cazzo sei?» urlò Marco.
La risata si fece più aspra.
«Sono il tuo migliore amico.» disse la voce nell’ombra «Chiamami un po’ come ti pare, se questo serve a farti smettere di piagnucolare come un lattante. A proposito, sei patetico!
Marco tirò su col naso. Voleva mandare affanculo quello stronzo con tutte le sue forze. Voleva urlargli di smettere, spaccargli quella faccia del cazzo e prenderlo a calci.
Invece si limitò a spostare la mano sulla cassetta dell’acqua del cesso e la scritta in rilievo sulla plastica gli grattò il palmo.
«Geberit» lesse.
«Ottimo» disse la voce «Ho il nome di un cesso. Mi pare adeguato. Ora parliamo di cose serie.»
Marco non rispose. Aveva brividi ovunque e lo stomaco contratto.
«Che cosa vuoi che faccia? Che spacchi la testa al primo che capita? »
«No, certo.» disse il suo nuovo amico «La rabbia senza un oggetto specifico è uno spreco di energie. Che ne dici del tuo capo? Spezzagli le gambe!»
Marco si prese la testa fra le mani e cominciò a ciondolare avanti e indietro.
«La troia allora? Scopala e poi sfondale il culo a calci!»
Marco strinse forte le mani sulle tempie. Sentì il pulsare ritmico delle vene accelerare di botto.
«Smettila!» gridò.
«Perché dovrei?» chiese il Geberit. Sembrava stupito «Non è forse quello che vorresti, chiudere per sempre quella sua fichetta così generosa con tutti, tranne che con te?»
«Basta! Non sono un mostro!»
L’immagine nello specchio scosse la testa e sembrò volesse sfotterlo nel suo andare a ritmo col dondolio di quella di Marco.
«Forse siamo partiti col piede sbagliato» disse il Geberit, con una voce improvvisamente conciliante «Con chi ce l’hai? Con chi ce l’hai per davvero, intendo.»
Marco si tolse le mani dalle tempie, tanto si era visto che non serviva a nulla. Si sfiorò senza volerlo la ferita dietro l’orecchio. La ferita che non c’era più in realtà e da molti anni anche, eppure lui la sentiva pulsare ancora e ancora e ancora.
«Mio… » sussurrò, ma non ebbe il coraggio di proseguire.
«Bingo!» esclamò il Geberit.
Marco non lo sentì. Era come in trance. La ferita continuava a pulsare imperterrita.
«Quell’inverno…mi colpì con quella mazza…potevo morire…»
«Ma non sei morto. Però lui sì, ma non sei stato tu ad ucciderlo. E’ stata la cirrosi. Per questo la ferita pulsa ancora.»
Marco spalancò la bocca, come quando ci si trova davanti a una scoperta così incredibile che mantenere la propria compostezza è impossibile.
«La tua rabbia esige un tributo.» disse il Geberit.
«Ma chi…?»
I passi sul soffitto, quasi fossero stati chiamati, rimbombarono più forte. Ci fu un botto secco e una profonda vibrazione fece risuonare le pareti, come se qualcosa di grosso si fosse schiantato a terra. Sentì delle urla, poi delle risate. E i passi, frettolosi e pesanti, che si rincorrevano per tutta l’area della casa.
Marco si scoprì coi pugni chiusi allo spasmo e con il dolore delle unghie che si conficcano nel palmo della mano.
Lui e il Geberit alzarono lo sguardo verso il soffitto all’unisono ed era uno sguardo carico di livore.
«Ah, il vicino di casa!» disse il Geberit «E’ proprio uno stronzo, non ti pare?»
Marco digrignò i denti, fino a sentirli scricchiolare. Sì, era proprio uno stronzo! Faceva un sacco di casino e non se ne rendeva nemmeno conto!
«Fa un sacco di casino e non gliene frega niente.» disse il Geberit, quasi gli avesse letto nel pensiero «Anzi, forse lo fa apposta…»
Quella frase attraversò Marco come un lampo nelle tenebre.
«Perchè dovrebbe?» chiese.
«Perchè sa che tu sei così coglione da non andare a dirgli niente.» fu la pronta risposta.
Marco non rispose, anche perché non sapeva cosa dire. Che ci fosse un fondo di verità in quelle parole? Che fosse davvero tutta lì la verità?
«Fallo soffrire.» intimò l’immagine nell’ombra.
Marco riprese a ciondolare la testa avanti e indietro.
«Non posso…io…non posso, è troppo…non posso…»
«Cazzo, sembri un disco rotto! Sei sempre stato un pusillanime, sin da quando eri bambino!» disse il Geberit.
Marco continuò a dondolarsi.
«Non nè vero, io…»
«Fa silenzio! La realtà è questa.» disse il Geberit.
Poi sorrise.
«Ma non basterà a fermarti, dico bene?»
Marco sospirò. Sapeva cosa doveva fare. Sapeva che non doveva ascoltare quella voce. Anche se diceva cose che lui voleva sentirsi dire. Anche se era l’unica che lo capisse davvero. Quella voce lo disprezzava, come tutte le altre voci del passato. Sapeva cosa doveva fare. Non doveva cedere.
«Che cosa devo fare?»  chiese.
Non capì mai il perché di quella domanda. Però la tensione diminuiva, e quella di sicuro era una cosa buona.
Anche il Geberit sembrava soddisfatto. Annuì più volte, con un sorriso strano sulle labbra.
«Ci sono molti modi.» disse «Ha un figlio no? Che cosa fa?»
Marco sussultò.
«Enzo? Ma è un bambino, va ancora all’asilo!»
Il Geberit sogghignò.
«Enzo è proprio un nome del cazzo per un bambino di 5 anni, non trovi? E fa l’asilo. È ottimo per te.»
Si passò la lingua sulle labbra come se degustasse qualche leccornia sopraffina. Per un istante a Marco sembrò di riconoscere quell’immagine. Era tale e quale a lui, eppure non lo era.
«Papà?» sussurrò timidamente.
Si sentiva così indifeso e solo! Proprio come quando da bambino attendeva, con trepidazione e terrore insieme, il ritorno a casa di suo padre. Si era mai mosso da allora? Forse era rimasto sempre lì.
Quel pensiero lo terrorizzò. Eppure restò immobile a fissare l’immagine nello specchio.
L’immagine nello specchio gli rispose con un sorriso.
«Ricordatelo sempre»  concluse il Geberit «meglio iniziare con le cose semplici.»

FINE

 

3 Risposte a “Le cose semplici – quattro”

  1. Bravo!
    Mi è piaciuto particolarmente questo passaggio:
    _«A chi? A chi?» disse l’immagine «Non importa chi, importa cosa. Tutti si sono presi qualcosa! Tuo padre, il tuo capo, la tua donna e quel coglione rompicazzo del vicino di casa! L’universo, la vita, ti deve qualcosa! Prenditi qualcosa tu adesso!»_

    La rabbia verso tutti (e la paura che tutti possano prenderti qualcosa) è un concetto interessante. Rivoltarsi contro ogni non-io senziente in piccola parte (secondo me ovviamente) fa parte di ognuno di noi!

  2. Caspita… Io lo trovo geniale, davvero ben gestito questo racconto.
    Mi piace questo stile, bravissimo… Non so che altro dirti se non che mi vien voglia di rileggerlo da capo e difficilmente mi vengon queste voglie.
    Complimenti davvero!

  3. @Simonetta: grazie per i complimenti e per le correzioni datemi via e-mail!

    @Elisa: grazie davvero per il tuo interesse. Tra l’altro, mi piace molto l’interpretazione che hai dato al mio racconto. Non ci avevo pensato. Io in verità sono partito dal domandarmi: che cosa provoca uno scoppio di rabbia insensato e distruttivo? E ho cercato di dare qui una risposta. Ci sarò riuscito? Ai posteri l’ardua sentenza…

I commenti sono chiusi.

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