Che tu sia per me il coltello di David Grossman

Non ho ancora trovato nulla in grado di spaccare il giudizio dei lettori come questo romanzo di Grossman. E soprattutto, non avevo mai trovato nulla in grado di spaccare me in modo così incisivo. Balle comprese.

Che tu sia per me il coltello - David Grossman
Che tu sia per me il coltello – David Grossman

Sono tentato di chiudere il post qui e tanti saluti. Che vi devo dire? Non mi è piaciuto.
Tuttavia, per rispetto di tutti i fan di Grossman, che non comprendo al pari di quelli di Povia, scriverò anche perché non mi è piaciuto.
L’ho letto con la continua sensazione che dovesse succedere qualcosa. Qualcosa che gli desse un senso, che giustificasse pagine e pagine di delirante monologo. Anzi, più che la sensazione, è stata la speranza. E’ la speranza che ci frega tutti.
Grossman scrive bene. Troppo bene per credere che tutta la storia sia il monologo del protagonista, troppo per credere che la storia si risolve solo in uno scambio di lettere, scambio che poi in realtà non vediamo, perché il 70 per cento del libro leggiamo solo la corrispondenza di lui e le sue risposte alle lettere di lei, senza peraltro leggerle.
Il protagonista passa un tempo interminabile a raccontarci una quantità eccessiva e inutile di dettagli sulla sua vita e soprattutto a fantasticare, con una prosa sovrabbondante, di un sacco di eventi, fatti, emozioni, che riguardano lui, Miriam, o lui e Miriam. Vorrei dire che tutti questi dettagli sono inutili, che a livello di trama la logorrea del protagonista non apporta nulla di significativo, ma tanto la trama non c’è, quindi facciamo un po’ come cazzo ci pare (cit.)!

Si sente il “leggero” fastidio che provo nel parlare di quest’opera?
Il fatto è che la prosa di Grossman è ammaliante, mi trascina in un vortice di emozioni e sensazioni che non riesco a identificare, mi sento sospeso in una bolla, con la promessa implicita che l’attesa di capire, di arrivare a un inizio, di trovare un senso sarà premiata. Forse non ora, ma alla pagina dopo. O quella dopo ancora. No, dai, sarà la prossima. Invece? Invece niente. Il senso non arriva. La promessa è infranta.
Hai presente quel “clic” di cui ho parlato in altri post (non farti domande sottili: sì, è un invito a leggerli, se già non l’hai fatto), quello dopo il quale senti che la storia è partita?
Ecco, io non l’ho sentito mai. Non dico che non ci sia, ma io non l’ho sentito. Per me la storia non è mai partita. Non è mai iniziata. Di fatto, la storia non esiste.
Il protagonista parla pochissimo di sé e quindi di vita. E quei momenti sono come un’oasi nel deserto. Ti ci disseti. Eccola, finalmente, la storia. La vita interiore di un personaggio è storia. E’ dramma, è trama. E’ vita pulsante. Ma dura poco. Evapora in fretta, come gocce d’acqua sulla sabbia bollente e di sé non lascia traccia. Poi c’è solo l’eterno diluvio di parole che, per quanto ammalianti, per quanto poetiche, per quanto qualsiasi dannato aggettivo ci voglia mettere, non portano da nessuna parte.
In sintesi: questo libro non mi ha lasciato niente. Nessuna sensazione, nessuna emozione, niente che valga la pena di ricordare o annotare. Né piacere, né dispiacere. Solo il fastidio di perdere tempo a domandarmi che cosa non mi abbia lasciato.

Non so perché sia successo. Non mi era mai accaduto. Eppure, cos’è un romanzo, una storia, se non un modo per comunicare qualcosa a qualcuno? E’ una parentesi nel tempo e nello spazio in cui lo scrittore dialoga con il lettore a tu per tu. Gli comunica qualcosa. E lo scambio, la magia, come la chiamano spesso gli addetti ai lavori, avviene quando il lettore comprende e fa suo ciò che legge.
Non sempre le comunicazioni vanno a buon fine. Perché le esperienze di partenza sono troppo diverse, perché nulla di quello che viene comunicato ci ricorda qualcosa di conosciuto. In questo caso, l’oggetto della comunicazione rimane oscuro. Le parole, quelle si capiscono. Ma tutto il resto, il mondo dietro alle parole, la vita che le anima, rimane nascosto e incomprensibile. Triste? Drammatico? In fondo, è solo reale.
Nessuna comunicazione è destinata a tutti. Nessuno può comprendere tutto.

Grossam e io non ci capiamo. Forse un giorno.
 

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