Cercasi Paolo disperatamente

Seconda parte. La prima parte qui.

Il bivacco Latemar è in mezzo a una conca verde, condita d’erba e di marmotte e con contorno di pecore belanti. Alle spalle c’è una corona di montagne, così vicine che con un salto ti sembra di esser lì. E davanti, un panorama che si stende a perdita d’occhio e che non ha eguali in tutto il continuum spazio-tempo. Ok, non ho viaggiato nello spazio-tempo, ma ho visto il bivacco Latemar. E tanto mi basta.
Il bivacco è piccolo ma accogliente. E ricolmo di beni immobili in grande quantità: letti! Il soppalco c’è, molto spazioso.
Ci accaparriamo un letto a testa, più un altro per lo zaino, tanto per far pesare il nostro diritto di precedenza a chi arriverà dopo e per non avere troppi intrusi intorno.
La mia paranoia si stende al sole e finalmente si rilassa. La seguiamo di lì a poco, l’amico mio ed io. Mangiamo fuori, con il sole a picco, fra le pecore belanti che vorrebbero assaggiarsi la mia pasta fredda.
Sono molto orgoglioso della mia pasta fredda. Basta panini stantii con prosciutto stopposo del discount. Stavolta si mangia di lusso.

I Nove arrivano, dopo mezz’ora o un’ora, non saprei dirlo. Sono senza anelli. Hanno lasciato le stregonerie per strada.
Noi ci facciamo trovare belli comodi dentro ai sacchi a pelo, tanto perché non sfugga a nessuno che siamo arrivati primi. E che la guerra dei letti è vinta.
Se a loro non sfugge, non ci è dato di sapere.
«Siete andati su come le schegge» dice qualcuno.
«Era per accaparrarsi i letti migliori.» dico io.
Ah ah. Risate. Quelli prendono la mia dichiarazione di vittoria per una battuta. A che serve vincere, se non c’è nessuno che ritiene di aver perso? Cazzo!

I Nove scaricano le vettovaglie.
Minestre e risotti liofilizzati (che acquistano un’attrattiva solo sopra i 2.000 metri e dopo 4 ore di cammino, mai prima ), panini, polenta, lucanica, mortadella, formaggi, bottiglie su bottiglie d’acqua, vino (vino? Cacchio, questi hanno anche il vino!), biscotti, cioccolata, tè e non so cos’altro ancora. In poco tempo, il bivacco è stracolmo. Sembra un magazzino dell’antico Egitto, nel tempo delle vacche grasse.

Ora, mi vengono in mente due considerazioni.
La prima: forse a valle è scoppiata una guerra e io non lo so. Forse una pandemia ha decimato la popolazione fassana e questi ragazzi sono gli unici scampati all’olocausto. Oppure (e questa mi pare già più logica) qualche folle esperimento governativo tipo quello della Umbrella Corporation ha cambiato il DNA di migliaia di turisti, trasformandoli in mostri cannibali e costringendo i pochi ancora umani su per le montagne. Altrimenti, perché nove persone avrebbero una scorta di cibo che basta per un mese nel deserto?

La seconda: la mia pasta fredda, orgoglio della mia terza gita in montagna della stagione, blasone del mio pranzo senza panini stantii, è quasi ridicola di fronte al ben di Dio che questi qui hanno portato in vetta. E mentre loro mangeranno polenta e lucanica e risotto a cena, biscotti e tè alla pesca a colazione il giorno dopo, panini freschi con la mortadella e il formaggio per il pranzo successivo, io mangerò, nell’ordine: pasta fredda, pasta fredda, pasta fredda.
L’orgoglio del mio pranzo si raffredda, e cola giù nello scarico della vergogna, ridicolizzato senza scampo di fronte all’opulenza e all’organizzazione da scout dei Nove Nazgul. Sì, perché questi Spettri dell’Anello sono tutti scout o ex scout. E sono talmente organizzati che manco le SS se lo sognano un campeggio così ben fatto. Cazzo, c’hanno pure il filo per tagliare la polenta! Dai, non scherziamo! Io è già tanto se mi ricordo di portarmi la forchetta.
Hanno tutto: zaini ipertecnici, scarpe ipertecniche, tutto il necessario per coprirsi se piove, per coprire lo zaino, probabilmente riescono persino a proteggere le pecore e forse anche un pezzo di bivacco. Hanno la cartina Kompass, ultra tecnica anche quella, che quasi parla da sola e ti dice lei dove andare e dove no.
Insomma, hanno tutto e io non ho niente. Arrivato in quota, mi sono pure accorto di essermi dimenticato k-way e copri pantaloni di nylon per la pioggia, a casa. E in quanto alla cartina…

Settimana precedente, cascate Lares.
Sto davanti a un bivio che sale in direzione di una malga.
«Di qua c’è la malga? Quanto è lontana?» chiedo al primo che passa di lì.
Lui, un turista nemmeno troppo avvezzo alla montagna, mi guarda un po’ perplesso.
«Ma, credo sia di qua. Non so a che quota sta. Non hai la cartina?»
«La cartina?» faccio eco.
Silenzio. Lui scuote il capo.
«Ok, tieni, prendi la mia.»
Questa è la mia organizzazione per affrontare la montagna.

Insomma, questi arrivano, occupano tutti gli spazi che potrebbero occupare, sciamano come cavallette nel bivacco e ostentano pure la loro organizzazione sopraffina. E io, da buon trentino, dopo i due o tre saluti di rito bofonchiati a denti stretti, dopo essermi preoccupato che il mio spazio vitale non venga violato (che in realtà sarebbe tutto il bivacco, visto che sono arrivato prima, ma chiudiamo un occhio e facciamo finta di credere all’ospitalità della montagna), posso iniziare a odiarli cordialmente.
Cosa che però non accade.
Accade qualcosa di impensabile invece. Due, per la precisione.
La prima è una cosa piccola, ma una di quelle che ti fanno dire: wow, non accadono solo nei film allora! Si avvicina uno di loro e dice:
«Voi andate spesso sulle Dolomiti?»
«Ma…no» rispondo io «siamo stati due anni fa al bivacco Paolo Nicola (mai capito qual è il nome e qual è il cognome!), sul Lagorai.»
«Io sono quello che vi ha fatto la foto.» dice lui, come fosse la cosa più normale dell’universo.
[Breve parentesi esplicativa (infatti ho messo pure questa nella quadra): non so se hai capito davvero quello che ti sto dicendo. Riassumiamo: due anni fa l’amico mio ed io ce ne andiamo su in montagna, chiediamo a un ragazzo di farci una foto, e due anni dopo, su un’altra montagna, lo incontriamo e lui si ricorda pure di noi!]

COSA????
«Scusa, non ho capito.»
Lui ripete, tale e quale. Ci resto di sasso. Davvero. Ma queste cose non accadono solo nei film? Non è che ci cambia la vita questa cosa, però quante possibilità ci sono di incontrare la stessa persona, due anni dopo, con tutte le montagne che ci sono in Trentino? E soprattutto, come cavolo se le ricorda le nostre facce? I casi sono due: o non è umano lui, o non lo siamo noi.
Noialtri, a parte la puzza di ascelle, che farebbe rivoltare lo stomaco anche al demonio, siamo certamente umani. Anzi, forse proprio per quello.
La cosa è chiara: Giovanni (così si chiama) è un alieno. Un alieno dotato di memoria fotografica, mandato sulla terra per raccogliere informazioni sulla specie dominante (notoriamente, i topi), in vista della futura invasione. Infatti ha pure la super forza e la super resistenza. Si mette a tagliare legna tutta sera, fino alle 21 o giù di lì, quando il sole è ormai calato. Non si ferma mai, spacca ciocchi grossi come la testa di una mucca e avrebbe tirato giù anche un abete, se solo ce ne fossero a 2.300 metri di quota. E quando noi siamo intabarrati dentro giacche e pile di lana, lui sta in maniche corte perché emana più calore di una stufa a pellet.
Ha spaccato legna con la precisione di un chirurgo e una volta mi è sembrato di averlo visto aprire in due un tronco prendendolo a testate. Su questo però potrei anche sbagliarmi.
Quindi, super forza, memoria fotografica (probabilmente ha un database al posto del cervello) e centralina a fissione nucleare come fonte di energia.
Il messaggio è chiaro: gli alieni sono tra noi. E perché abbiano deciso di invaderci partendo da un bivacco in quota, è un mistero che sottoporrò al più presto a Voyager.

La seconda cosa la fanno tutti gli altri: ci offrono lucanica e polenta.
Ora, io sono trentino. I trentini si fanno i cazzi propri. Punto.
Cioè, chiariamo: io da buon trentino l’avrei anche offerta la polenta, dicendo: “Ne volete un pezzo?”, ma che tradotto significa: ve ne offro un pezzettino, ma se provate ad allargarvi troppo vi apro in due come un melone. L’ospitalità trentina è eccezionale, ma va per gradi. Sarà per questo che una volta, dopo aver finito tutti i cioccolatini che mi hanno offerto delle persone appena conosciute, ho sentito sguardi d’odio calare come una mannaia sulla testa del condannato a morte?
Tutto sommato, il trentino doc fa la sua offerta perché si aspetta che dall’altra ci sia un altro trentino che dica: no, grazie, ho già la mia roba. Che tradotto vuol dire: brutto stronzo, anche se darei l’anima per un po’ della tua lucanica, col cazzo che ci cado nella tua trappola! Altrimenti, poi mi tocca offrirti la soppressa e la cioccolata!
E quindi, nel circo dell’ipocrisia, le buone maniere sono salve, l’amor proprio anche e ognuno si fa i fatti propri, invidiando orgogliosamente l’erba del vicino.

Questi qui invece che fanno?
Non è che ci offrono la lucanica. Danno per scontato che a cena ci siamo anche noi. Siamo invitati, per il solo fatto che ci siamo.
«Ma di dove siete voi?»
«Di Padova, quasi tutti.»
Ah, ecco. Veneti. Alieni, insomma.


Ma ragazzi, perché avete deciso di invaderci partendo dalle cime? Non era meglio partire dalla valle? Ok, avete scelto così. Non posso sperare di capirvi. Siete alieni.

Nel frattempo abbiamo conosciuto tutti. Con i nomi c’è una grande confusione. Anche perché a me gli alieni sembran sempre tutti uguali.
Giovanni conosce Paolo e ce lo presenta. O forse siamo noi che lo presentiamo a lui. Io comunque non riuscirò mai a parlargli una volta sola. Paolo passa di bocca in bocca come fosse un’entità astratta e nessuno riesce mai a identificarlo. Ma insomma, chi cavolo di voi è Paolo?
«Non sei tu Paolo?» mi dice qualcuno.
«Veramente no» rispondo io. Eppure, comincio a nutrire seri dubbi. Mamma, sei sicura che non ho un secondo nome?
Paolo tiene banco per gran parte della serata. Pare sia un tipetto simpatico, anche se non lo conosco. Decido di imitarlo e, per una volta, lascio a casa la trentinità, la vergogna e tutte quelle cose che a valle sembrano così importanti.
Quando sali oltre una certa quota, ti accorgi che la realtà che prima guardi dall’altezza dei tuoi occhi ora sta così in basso che manco ti sembra più reale.
E che forse, così reale non lo è mai stata. Quassù, fra le cime dei monti e le capre, c’è un’altra realtà, più reale e tangibile di quella che mi sono lasciato indietro. Quale sia quella più reale, ammesso che questa frase abbia un senso, non lo so, ma una cosa è certa: qui io ci sto bene.

E così, mi alienizzo pure io.

5 Risposte a “Cercasi Paolo disperatamente”

  1. Ahahahah! Adoro questo racconto! XD I topi… Sento ancora aria di “guida galattica per autostoppisti” XD

    Vado a leggere il resto! 🙂

  2. Mmm, Matteo, Simo, scusate… ma cos’è “la guida galattica per autostoppisti?” Non so perché, ma ho la vaga sensazione che dovrei saperlo, che si tratti di una pietra miliare delle conoscenze “terrestri” Mi sbaglio? A questo punto, voi due starete impallidendo; non crederete che io non lo sappia. Certo, come tutti i terrestri del XXI secolo avrei potuto sbirciare su wikipedia, ma non l’ho fatto giacchè io amo il mio lato “extraterrestre”, la mia non omologazione costante. Sai che vi dico? E’ bello sentirsi dei marziani, mangiare pasta fredda mentre gli altri si concedono pasti luculliani nei posti più improbabili. Sì, sì, come no… anche il protagonista sembra felicissimo sebbene non sappia se la madre gli ha dato un secondo nome. Il saperlo gli garantirebbe una certezza: quella di essere il Paolo giusto. Io un secondo nome ce l’ho e lo conosco. Questo, in quanto terrestre, è una certezza. Una delle poche.
    P.s. So che il commento è un po’… strano, ma per stavolta, Matteo, dovrai accontentarti.

  3. Ahahhah! Ma tu sei più fumata di tutti e due messi insieme! Ahahaha!

    Guarda in realtà si tratta di un film, che dire che è demenziale è riduttivo… Comunque le persone che non hanno abbastanza demenza nel loro sangue non lo trovano divertente (vedi mio marito XD) mentre in genere gli idioti, hemm volevo dire… i dotati di senso di umorismo come me 😀 amano il genere… Se ti capita guardatelo! E se non ti capita, fallo capitare! XD XD XD

I commenti sono chiusi.

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